C’è una storia gloriosa e suggestiva che da sempre a Favignana si è guadagnata la ribalta della cronaca: è la storia del tonno, la storia della mattanza, la storia dei rais e la storia del destino della tonnara.
Il tonno affascina perché rappresenta la lotta (rispettosa) dell’uomo contro la natura, perché il sangue della mattanza ha sempre attratto alcuni e ripugnato altri, perché la figura del rais racchiude in sé il mito e l’eroe, perché le antiche “cialome” hanno il suono di qualcosa che ti si lacera nell’anima.
Tuttavia c’è un’altra storia a Favignana, altrettanto gloriosa ma meno clamorosa, altrettanto suggestiva ma meno nota e che invece meriterebbe altrettanto clamore e altrettanta notorietà.
La storia di Favignana sa di tonno, ma sa anche di polvere…sì di polvere, la polvere delle cave di calcarenite, le “pirrere”.
La calcarenite, ricca di fossili che ne testimoniano l'origine marina (lamellibranchi, coralli...), sedimenta in forme abbastanza compatte che si prestano ad essere estratte ed usate come pietra concia a scopo edile, conosciuta col nome di tufo.
Il tufo fu per secoli, insieme con la pesca e l'agricoltura, fonte primaria di guadagno. Lo sfruttamento risale ad epoca antichissima, ma fu soprattutto nel periodo compreso fra il 1700 e il 1950 che raggiunse il massimo sviluppo.
E questo racconto che viene dal cuore della terra è talmente glorioso da aver cambiato per sempre i “connotati” del territorio favignanese.
“Il tufo caratterizza l'isola di Favignana in una maniera quasi esasperata; dovunque il tufo si legge e si legge in tanti aspetti: si legge come materiale da costruzione, pietra, case, muri, sculture, ma si legge anche come luogo stesso, cioè montagne, scogli e poi cave, oggi spazio vuoto, contraltare dello spazio architettonico, spazio fantastico che lascia immaginare un labirinto o un antro del ciclope o un luogo scultoreo dove l'escavazione ha lasciato come segni tangibili colonne, capitelli, figure stilizzate, trine e ricami di pietra.”
(Maria Guccione)
E la gloria di questo paesaggio “artificiale” ma ormai così naturale è la gloria di altrettanti personaggi che meriterebbero un posto nel mito: i pirriatura, ovvero i cava-tufo.
Ed è così che il mito di Favignana in realtà attinge dal mare e dalla terra.
“Sono simili la pesca e l’estrazione del tufo, vengono dalla preistoria e i modi di praticarli sono rimasti uguali, incuranti del passare del tempo [..] Se per qualche strano motivo dovessimo decidere quale dei due sia stato più faticoso dell’altro, non ci sarebbe storia. Il tufo si rubava, si scippava alla terra in un baratto continuo di sforzo, di sudore, da far girare la testa […] Oggi le cave sono paesaggio, ieri tribolazione.
[…] Eppure i pirriatura hanno inciso così nel profondo Favignana tanto che il loro santo, il Crocifisso, è diventato il patrono dell’isola. Questi uomini non ci sono più, ma hanno lasciato le cave, alternanza di vuoto e pieno ormai talmente legate all’essenza del luogo dell’essere diventate paesaggio, indistinguibili da cale e faraglioni, coste e monti.[…] Cave che aprono sul mare e altre chiuse come scavi archeologici che scendono sul fondo di ziggurat rovesciate. Cave a galleria e cave che sono diventate parte dell’abitazione a cui appartengono. E poi una rete di sentieri, alcuni scomparsi, altri diventati piste e stradine, che collegano le cave secondo una geometria che porta sempre verso il mare, dove il tufo veniva imbarcato.”
(L’ultimo Rais di Favignana - Massimiliano Scudeletti)
Questa è la storia e l’eredità che ha lasciato è fatta di spazio vuoto, trasformato, vissuto, coltivato, recuperato, riutilizzato, uno spazio vuoto che riempie l’anima che una cialoma magari ha lacerato.
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